Non c’è redenzione per chi spegne la speranza, non può esistere pentimento negli occhi chiusi. Stai odiando con tutte le forze quella vostra maschera così crudele e in questo odio un po’ ti riconosci carnefice di lei e di voi che ancora camminate e ridete a squarciagola ma dentro siete morti, una piccola coppia ambulante di cadaveri d’amore. Si sdruce la musica sulla tua pelle, frantuma le ossa e le ricompone in forme geometriche imprecise. È una sera di novembre e stai ascoltando lo Scherzo in si bemolle minore di Chopin che ti scivola sopra come miele dolcissimo e appiccicoso. Il modo minore esplode con echi modali nei rapidi arpeggi che sembrano gocce di nettare lasciate cadere per caso e all’improvviso, come luce abbagliante, appare il tema centrale che enarmonicamente modula alla tonalità di la maggiore. È una finestra di sole aperta su un pianeta meraviglioso, un semplicissimo “do si do mi re do do” che profuma di amore e di alcove disfatte, di fumo e di fiori. È la voce di Dio. Lei intanto si gira e rigira nel letto come una trottola e ti sfiora il piede con un piede, quasi per caso. Conosci alla perfezione quel tocco lieve, è un segnale preciso e chiaro. Questa volta non gliela darai vinta, ne sei certo. Questa volta no. Devi dimostrare di che pasta sei fatto, lei deve capire che non può decidere di te, fare il bello e il cattivo tempo come le pare. Questa volta non ti avrà. Cerchi di scostarti e di sembrare infastidito, hai il cuore pietrificato e pesante come piombo, nemmeno lo senti pulsare nel petto. Ti stringe con forza e il tuo corpo non sente ragione, di nuovo impazzisce per lei che prova e riprova a tentarti e ti accarezza ovunque, insiste dove più ti piace, sulla parte più debole che hai e ti solletica con le dita e con la bocca. Tu non partecipi e lei sale rapidamente sopra. Non resisti, è impossibile rinnegare sole e cielo, è impossibile dire no alla vita. Lei lo sa perfettamente e si volta, si gira per mostrarti la parte che più preferisci. Tu non cedi, sei irremovibile e non la tocchi nemmeno con un dito. Allora si accarezza da sola, gioca e da dietro si allarga, si spalanca per farti assistere allo spettacolo mentre si volta a guardarti per verificare le tue reazioni. I capelli biondi fluttuano ipnotici sulla schiena e ti senti ubriaco e pazzo. Crepi di voglia ma non ti muovi e lei continua a usarti come un oggetto inanimato, una bambola di cera in un rito vodoo, come un povero mezzo. Sei un burattino tra le sue mani. Ogni tanto gira ancora la testa per un’occhiata rapida, si sistema a suo piacere, ti mette comodo dentro e fuori di sé, in profondità o lasciandoti sospirare alla porta del suo limbo acquoso. Non resisti e nemmeno lei che in un attimo precipita in un baratro senza fondo e si scioglie con un gemito forte, respirando allo stesso ritmo del cigolio del letto. Ha concluso e scende da te. Si accascia, sospira e ti guarda. Sorride ed è il sorriso di chi ha vinto. Sembra dirti che nemmeno questa volta ce l’hai fatta, nemmeno oggi sei riuscito a sottrarti al suo potere enorme. Ti bacia sulla bocca e ha labbra gelide e salate. Senti che sta baciandoti come un qualsiasi don Giovanni bacerebbe la ragazzina che si è appena scopato, senza amore e senza rispetto. Si alza dal letto e si allontana. L’acqua della doccia scorre in lontananza e tu resti così, immobile e accovacciato come un feto. Pochi istanti appena, il tempo di riprendere fiato, ti alzi e ti rivesti in fretta. In un attimo sei fuori da tutto, da quel lenzuolo profumato di vaniglia, dalla tua stessa vita. Chiudi la porta alle spalle e sei in strada, dove regna un notturno padano di nebbia che ti avvolge e puoi sentire fin dentro le ossa. La città è deserta, un muro lattiginoso di fumo grigio copre e ricopre ogni cosa. Accendi una sigaretta e ti allontani piano, passi lunghi e decisi. Hai ancora il suo profumo addosso, in bocca sapore di rabbia e di lei che hai lasciato due piani più su, c’è una stretta rampa di scale che ti separa da un paradiso incompiuto, muri azzurri e quasi felicità. Hai chiuso la porta come fosse niente e te ne sei andato, svuotato di tutto, con le sue tracce indelebili ovunque. Ora cammini veloce e ti senti inappagato e perduto. Piazza del Duomo è umida e greve, ti trovi calato in un medioevo irreale mentre alzi il bavero della giacca e non sei più tu. Infili le mani in tasca e pensi ad un posto lontano, un’isola tropicale, sabbia bianchissima come neve immacolata, oceano smeraldo a perdita d’occhio e voi. Oppure una casa in Toscana, colline verdissime alle spalle e un mare d’incanto davanti. Lei è così, unica attrice del suo splendido show e spesso ti senti una piccola comparsa in questo primo tempo di voi, inquadratura a campo lungo e soggettiva stretta dei suoi occhi azzurri. Che ci vuole per lasciar perdere tutto e uscire in punta di piedi dal suo spettacolo prima dei titoli di coda? Pensi alle sue mani, le dita che ti hanno sfiorato come miriadi di farfalle delicate e tu il pianoforte stonato che lei sola riesce a suonare facendogli cantare melodie sublimi. Conosce a memoria chi sei, percorre la geografia del tuo piacere, ogni millimetro di pelle e di voglia, sacerdotessa del tuo sesso e unica padrona della tua kundalini. Sei fatto di lei e forse è davvero questo che vuoi, ubriacarti e domani svegliarti con un forte mal di testa, restare a letto e aspettare con calma che passi la sbornia. A volte vorresti non chiedere di più e non cercare un’eternità introvabile di sentimenti assoluti, ma il bisogno che senti urlare in te è forte ed è una voce che cerca posti caldi e sicuri dove posare i propri enigmi irrisolti. Vorresti completare quel mezzo empireo approssimato, quell’abbozzo di gioia, aggiungerle la parte indispensabile che senti mancare. Non credi nei sogni, continui a ripeterlo e un poco ti annoia questo ritornello puerile nella testa. Non credi nei sogni fottuti ma ancora ci pensi, ancora ti aspetti l’isola che non c’è, il Bengodi, il tuo Eden o solamente un posto per voi dove tutto sia più semplice e chiaro. Spegni la sigaretta con la punta della scarpa e vorresti che questa notte da dimenticare finisse in fretta per poterti svegliare in un domani diverso, dissimile da te.