Ti osservava scrivere.
Senza dire una parola si sedeva vicino a te leggera come una farfalla che si posa, un libro in mano come alibi, alzava gli occhi dalle pagine e ti guardava a lungo.
Tu alla tastiera del portatile, a volte digitando come un pazzo, altre volte centellinando aggettivi come fossero un pregiato vino d’annata, guardavi oltre lo schermo bianco e lei era lì. Sorrideva, denti regolari quasi perfetti, il sorriso di un angelo.
Restava in silenzio, sapeva che non volevi essere interrotto soprattutto quando le parole pesavano come macigni sulle dita e faticavano a uscire fuori.
Improvvisamente scompariva. Rumori leggeri dalla cucina e profumo di caffè nell’aria, pochi minuti dopo. Quella vicinanza silenziosa sembrava essere essenziale, la cercavi e la desideravi come ossigeno, come la tua stessa vita.
Pausa caffè.
«Che scrivi?»
«Devo terminare la prefazione di un racconto. Una storia complicata.»
«Sei affascinante quando scrivi.»
«Solo quando scrivo?»
Ride di gusto.
«Più del solito. Quando scrivi di più, perché hai la stessa espressione di quando facciamo l’amore.»
«Cioè?»
«Non so. Ti brillano gli occhi. Sei concentrato e perso. Divino e diabolico insieme.»
«Grazie. Sembra essere un bel complimento.»
«Si vede che ci metti la stessa energia, la stessa passione.»
Ride ancora, ti bacia e ridi anche tu. Ridete come due bambini che guardano un cartone animato.
Maledetta, immeritata allegria.
(il passo del gambero – Mjm editore)