Non risponde, forse è distratta da chi sa muoversi abilmente meglio di te sentendo davvero un allegro festeggiare nel centro del petto, ora che avrebbe voglia di ricordare i suoi sogni puliti di bambina spensierata che rincorreva felice il rumore lontano di un treno. Puoi quasi vederla, si colora le unghie di rosso smaltato, si trucca il viso per meglio confondersi nel buio e tingere notti di tenebra scura, avvinghiata nel dubbio di essere sempre la stessa, quella che ormai ha deciso di andarsene. Il suo dado è tratto e lei si riveste di questa certezza come una scorza coriacea. Indossa le calze più scure come se tra le cosce non esistesse un ingresso che possa lasciare intravedere una scheggia aguzza di luce. Non ha più stelle o paradisi, solo la voglia di smarrirsi ancora. Le immagini restano, cantano parole sottili sillabandole adagio e tu le vedi cadere appese come lacrime alla scia di uno sguardo mentre sfiorano preziose il suo seno. Possiede ancora un ombrello rosso da riempire con un fiume intero di pioggia, lo agita appena per farlo stillare d’inchiostro nero che possa tingerle la pelle del viso, bagnarle i capelli e coprirli di nebbia leggera. Porta tacchi alti e affilati per calpestare i tuoi occhi. Tacchi d’acciaio che possano forare il ventre gonfio di una notte qualsiasi e sentirla diversa da tutte le altre sognate appoggiata alle spalle del buio, raccattando sospiri di uomini e amore. Si agita e geme, sospira e si spande di luce, è un fiore che sboccia. Spalanca le labbra viola e gocciola semi di neve in un letto, stringendo le mani per gioco, per essere un fiume di sabbia dorata e non questo sesso crudele venato di marmo. Ma lei non comprende. Lei già troppo lontana. Scorda le ore passate dall’ultima volta che ha fatto davvero l’amore, dimenticandosi sdraiata tra bianche lenzuola di sogno oppure in un prato d’estate, se la presero per strada e solo un alito tiepido di vento le sfiorò la pelle e le sgualcì la gonna. Quante mani avranno avuto il coraggio, quante saranno arrivate nel punto preciso dove la rabbia si squaglia; se solo sapesse questo lei diventerebbe accessibile e basterebbe una luna che brilla d’argento e risplende di luce sulle sue labbra umide perché tutto diventi più chiaro. Qualcuno le strinse le mani per gioco, allargandole il cuore. Qualcuno bussò alla sua porta e calpestò quella pelle di rosa lasciando una fila di impronte leggere, un ricamo di passi sulla neve. Qualcuno divenne padrone ed unico erede di lei, signore della sua meraviglia, candore e delizia, sottile increspare di acqua. Ma lei non risponde e non avrebbe più senso rimanere in attesa a raccontarle di te. Stasera apri davvero il cancello ed entri in quel sogno dormiente di mare salato in mezzo al tuo petto, dove lei sarà il buio che regola il giorno, dove tu sarai notte che placa benigna la terra e s’annoia di tedio aspettando che arrivi il mattino.
(Il passo del gambero – Guido Mazzolini)