Archivio per giugno, 2021

Accade che un giorno ti guardi allo specchio e non sei più tu. Osservi la fronte più ampia, il pozzo più scuro degli occhi, ti soffermi sull’intreccio sottile di rughe. Capisci di essere solo, non di esserlo diventato ma di esserlo stato da sempre. Si nasce e si muore soli, due eventi grandiosi con un unico protagonista e tra questi si evolve la vita che spesso è un monologo contraddittorio nel continuo tentativo di ovviare alla solitudine, un cercare di uscire da questa realtà intrinseca. Si tendono mani, si trovano occhi, si ascoltano voci, tutto per sentirsi meno perduti. L’errore più grande è voler mettere la propria felicità nelle mani di un altro. L’errore più grande è illudersi di non essere soli.
Tutto accade.
Cercare, trovare, perdere.
Scusa, ma non ha saputo fare meglio di così.

(Il passo del gambero) Guido Mazzolini

…Eppure in noi alberga un desiderio infinito di eternità che non possiamo sottovalutare. Siamo ora e siamo per sempre, chiamati a un viaggio che sembra trascendere questa corporeità imperfetta, minata da malattie e incidenti, da disgrazie che sembrano mettere fine all’esistenza, così come la conosciamo. C’è una voce che sussurra una risposta differente e più entriamo in contatto con la parte intima di noi, quella più vera, e più ci accorgiamo che il dolore può anche essere un mistero insondabile, ma nonostante tutto la morte non può concedersi l’ultima parola. Per chi rifiuta questa dimensione, esiste solo un cinismo disperato. Tutti entriamo in contatto con la morte di una persona amata, tutti moriremo. Abbiamo imparato a misurare il tempo, costruiamo macchine per pesare con precisione ogni istante. Ogni secondo che scorre sul quadrante del nostro orologio dovrebbe regalarci un brivido. È un granello di sabbia caduto nella clessidra del tempo. È qualcosa che avevamo e che non abbiamo più.
Il tempo è quella dimensione che ci permette di esistere. Senza il tempo non esisterebbe il prima e il dopo, non esisterebbe l’adesso. Senza il tempo la vita non sarebbe un dono da restituire. Se il nostro tempo avesse una scadenza definitiva e totale, se questa dimensione terrena finisse irrimediabilmente nel nulla, ecco che il tempo si trasformerebbe nella rincorsa ossessiva di chi possiede un destino tragico e già segnato.
Sono molte le domande senza risposta, ma senza interrogativi la vita diventerebbe un rebus noioso e già risolto, una mappa del tesoro che non porta da nessuna parte. Allora è meglio camminare silenziosi tre le sillabe scarne del dolore, cercando di curare le nostre ferite e quelle degli altri. Senza cercare spiegazioni, nutrendo soltanto il desiderio di volare oltre la sofferenza, a cuore e braccia aperte.

Guido Mazzolini

Scelte, conseguenze. Causa che precede un effetto. È il dualismo che governa l’esistenza, si raccoglie ciò che si semina e si trova ciò che si lascia. Facile all’apparenza, facile e utile perché se davvero conoscessimo le conseguenze di ogni nostro gesto, potremmo costruire un futuro meno incerto, optando per le scelte più giuste. Ma l’esistenza è un sistema complesso, talmente aleatorio da risultare imprevedibile. È come il primo colpo di dita nel domino, le altre tessere cominciano a cadere, ma non sai quale sarà l’ultima e in quale punto del percorso si fermerà.
Siamo uomini dotati di libero arbitrio, due semplici parole che inchiodano alla libertà di poter operare una scelta e di pagarne fino in fondo le conseguenze. È un grande potere, quasi sempre usato nel peggiore dei modi, arrancando verso rappresentazioni grottesche di una libertà di scegliere che rasenta il capriccio e il vantaggio personale. Spesso la scelta è dettata da un bisogno sconosciuto, e cerchiamo di colmare un vuoto cercando la soluzione nel posto sbagliato. È un silenzio fragile che cerchiamo di azzittire con un suono, un sapore nuovo che possa coprire l’amaro, una diversa prospettiva di affacciarsi al mondo. È quel desiderio di gioia che ci pervade e sussurra nel profondo il nostro istinto primordiale di essere felici.

Guido Mazzolini

Ignoti a questa vita
di viaggiatori stolti, senza mani
da serrare a polsi sconosciuti,
senza l’affanno di due corpi stesi
medicando piaghe
per divenire nettare di gioia.
Sorpresi dal silenzio
non conosciamo la giusta via
l’unica rotta designata e certa
approfittando di una luce sola
che sia confine tra il felice e il buio
e possa separare la distanza.
Per questo
entriamo nel giardino ad occhi chiusi
e spalanchiamo bocche esangui.
Per questo
abbiamo piedi svelti e grandi sogni.

Guido Mazzolini

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Buona domenica!

Mani che cercano, afferrano, stringono. Mani che pretendono un possesso, un desiderio sottointeso che reclama una risposta. Ci arroghiamo il diritto di essere padroni di qualcosa o di qualcuno, e in questo continuo tentativo di contatto, in questo universo di possibili incontri, non è facile cancellare l’equivoco. Poco alla volta, un giorno dopo l’altro, coltiviamo l’illusione che il mondo ci appartenga. E ci convince ogni giorno che arriva, ogni regalo ricevuto dalla vita. Siamo campi aridi in attesa della pioggia e quando questa arriva, quando le prime gocce spengono la sete della terra, ecco che cominciamo a diventare rapaci. Tratteniamo, non ci accontentiamo del dono, vorremmo possederlo, vorremmo che diventi parte di noi stessi. L’amore è un fiume che attraversa il mondo, un’incredibile energia che muove l’universo. È una corrente che scorre da chi ama e attraversa chi è amato. E non si ferma, non si può trattenere. Trattenere l’amore significa mutarne l’essenza, trasformarlo in un sentimento misero e a misura di uomo, una gratificazione posticcia così simile all’egoismo. Tratteniamo ciò che temiamo di perdere e trasformiamo l’amore in paura, dimenticando che ogni cosa, ogni sensazione, ogni esperienza vissuta, vengono risposte con cura in uno zaino pesante che un giorno dovremo abbandonare. Il sudario non ha tasche, e in questo detto antico, tipico di qualche vecchio saggio, è racchiusa una verità assoluta. Un mistero che non serve cercare di spiegare o di giustificare. Un mistero che va accolto, respirato, ingoiato e vissuto nel silenzio.

Guido Mazzolini

Roma era calda e magnifica, fuori dal cielo, fuori da tutto. Una voce in lontananza e il respiro dei cani, un filo sottile di vento che entrava dalle finestre e noi. E non avere bisogno di altro. Era la nostra sera e mi osservavi. Sorridevi accogliente, la tua anima una piccola porta aperta, un rifugio sicuro. E io che mi lasciavo andare e accettavo i tuoi tentativi di entrare. Io sempre trattenuto e legato alla catena, io e le mie porte chiuse, io e i miei silenzi ermetici che avevi trasformato in musica, canzoni sguaiate da una chitarra imbracciata come un mitra. Le tue vertebre sotto le dita, un rosario di desideri che ti raccontai in un fiato. Le mie mani scivolarono sulla gabbia delle costole, quella scatola d’ossa che racchiudeva il tuo cuore. E il tuo odore e la pelle, e il ritmo ondulato del respiro. Estasi umida e calda, un guanto caldo in una notte d’inverno. La mia seconda pelle. Il tuo corpo diventò la mia casa, entrai in te come l’esodo di un popolo schiavo e finalmente liberato. Entrai in te come la sola cosa possibile, come l’unica soluzione ai miei dubbi, come la sola meta del viaggio. Entrai in te e in noi, nello spettacolo di un piacere denso che invade l’universo ricoprendo ogni cosa, il pavimento, i muri, fino ad innalzarsi come un’onda e a uscire dalla finestra per diventa aria pura, irrorare le piante e arrivare fino al mare. Entrai in te, nei tuoi occhi spalancati che mi guardavano come si guarda un miracolo, con la stessa intensità di chi trova una pietra preziosa nascosta nel fango. Lo stesso furore che scuote gli uragani e scoperchia i tetti, la stessa forza della luna che muove le maree. Diventasti per me madre e figlia, terra e aria, fuoco e tempesta. Entrai in te, come la prima volta. La prima volta che pensai di essere Dio.

Guido Mazzolini

(Sempre bello rileggerlo tutto d’un fiato…)

T’avvoltoli e migri, t’inarchi allegria.
Spalanca le braccia poesia.

Guido Mazzolini

Buona domenica!!!!

C’è il silenzio cattivo, assoluto, quello che azzittisce ogni cosa. È il silenzio dell’anima, un vuoto che cerchiamo di colmare con pensieri a raffica, stupidi orpelli che nemmeno abbelliscono la solitudine. E poi c’è l’altro silenzio, quello buono, quello che non crea assenza, ma al contrario riempie le orecchie di voci che in nessun altro modo potresti sentire. È il silenzio del nulla e della gola, il silenzio che riempie. È il silenzio di chi non ha paura.

Guido Mazzolini

Cara donna ti scrivo, così mi distraggo un po’. E che bella sei, che mistero nascondi negli occhi e tra le labbra, nel movimento delle mani, in quel tuo essere diversa e allo stesso tempo complementare. Ancora ti osservo, ammirato e diffidente. Grato per quello che sei e che hai rappresentato, lieto di averti conosciuto, tu l’altra metà della luna, la faccia nascosta che non vedo, ma che influenza le maree. Diversa e inconfondibile, naturalmente madre dei tuoi figli ma anche dei tuoi domani e delle idee. Mi piace pensare che l’unione di un uomo e di una donna possa generare un essere nuovo e invincibile, quell’uomo primordiale che un geloso Zeus decise di tagliare a metà, così come racconta Platone nel Simposio. È in questa unione disunita che intuisco la perfezione del tutto. È il progetto insito nella natura e nelle stelle, è il disegno della terra e dell’acqua. È come deve essere. Anche per questo amo la poesia, perché è femminile e come una donna mi ha tenuto tra le braccia, in volo verso un viaggio di irripetibile bellezza. Libertà, finzione, la metrica del verso e l’infinito di una sillaba. Il tutto, il nulla, e io, e tu, e noi.

Guido Mazzolini

Simile a te venni raccolto
al margine di sentieri polverosi
mentre gemevo preghiere
mordendo di rabbia
la bocca impastata di polvere
le braccia graffiate dai rovi
esiliato da un mondo perfetto
detestato da un volto d’amore.

Simile a te nessuno ascoltò
cantare di terre lontane
tessere rime o feroci illusioni
mentre innalzavo le mura del sempre
e lontano non scorgevo il sole,
perciò mi tolsero il respiro
le lacrime buone, il rosso sorriso,
mi spogliarono di tutto
lasciandomi solo un avanzo di cielo
per poter contemplare la colpa.

Simile a te ho combattuto sanguinarie battaglie
ho indossato armature lucenti
credendo in me stesso, nelle mie cieche forze,
ho nascosto il mio corpo ferito
cercando un riflesso d’Eterno
nel Verbo che fu innanzi a tutto
la prima causa e l’ultimo fine
e ho costruito a mia immagine
un povero dio desolato e sconfitto.

Simile a te ho succhiato il veleno del mondo
mischiandomi addosso
l’amore pagato e il più puro pensiero,
ho bevuto il tuo tiepido sangue
e mi sono macchiato le labbra
ho vissuto l’inverno agognando l’estate
perché simile a te sono uomo di scienza e coscienza
di spietata, maldicente esperienza.

Guido Mazzolini (Suoni – Ed. Progetto Cultura)