Dal buio emerse il contorno di una donna dal trucco appariscente, tacchi alti e una folta chioma rossa che le copriva la fronte, scendendo fino agli occhi. Lo sguardo era triste, marcato da un mascara scuro. Mi chiese se stessi cercando compagnia. Disse di chiamarsi Greta. Spigolosa e magra, camminava trascinando un poco la gamba destra e abitava in un monolocale nel vicolo accanto.
Si prese cura della mia pelle stanca e delle mie vecchie ossa di combattente. Mi sdraiò in un letto sudicio dentro il quale avevano sospirato migliaia di uomini prima di me. Percepii il sudore che impregnava il materasso, le secrezioni disperate di amori erranti. Vidi i nostri corpi riflessi nello specchio appeso alla parete, erano immagini che fluttuavano come ombre in un purgatorio fumoso.
Odore di muffa, ragnatele negli angoli e polvere, un quadro appeso che raffigurava una spiaggia tropicale con tante palme e onde azzurre, una vecchia chitarra senza corde appoggiata al muro. Mi tolse le scarpe, mi spogliò con lentezza e piegò i vestiti appoggiandoli sopra una seggiola. Si spogliò anche lei, aveva la pelle lucida e i seni gonfi, un cherubino malamente tatuato sulla spalla e uno sguardo bastonato. Sotto l’ombelico vidi una cicatrice orizzontale, netta e biancastra. Pensai a un parto cesareo, immaginai quella creatura disgraziata e la vidi calpestare il mondo lasciando piccole impronte. Annusai un’umanità disperata e mi sembrò quanto di più pornografico avessi visto, una fossa nel fango scavata a mani nude, un’indecenza che faceva male al pensiero.
Le chiesi di sdraiarsi accanto a me. Ubbidì. Mi tenne da dietro, il braccio destro avvolto al mio torace. Chiusi gli occhi in quella tana sporca, caddi in un sonno neutro e senza sogni, privo di rumori e così simile alla morte. Mi svegliai poche ore dopo, alle prime luci dell’alba. Greta mi guardava, stupita. La pagai, cercò di baciarmi, si mise in ginocchio davanti a me e aprì la bocca, cercò di guadagnare quel denaro che appoggiai sul cuscino dopo essermi rivestito. Le dissi che andava bene così. E in fondo era vero, non avevo bisogno di altro. Greta svolse egregiamente il suo compito. Vegliò il mio sonno, come una vecchia madre al capezzale del figlio debosciato.
dal romanzo Un celeste divenire di Guido Mazzolini