Non smette di lanciare messaggi ben chiusi in bottiglia, gettati nell’oceano del quotidiano senza pensarci troppo, senza sapere chi li troverà e ne leggerà il contenuto. La vita chiama. Domande e voci, quesiti dissonanti a volte sussurrati all’orecchio, altre volte urlati. Arrivano all’improvviso e se ne vanno, ci lasciano inquieti, sono strepiti e soffi, venti di cambiamento e novità. Nasciamo con il talento di interrogarci e indagare. Nasciamo carichi di quesiti. Sono multiformi invocazioni che assommano le due richieste più importanti, quelle che roteano attorno ai giorni di tutti. Da dove veniamo? Dove andiamo? Il primo quesito appartiene al passato e all’origine, tutto sommato è una domanda tardiva che viene posta quando ormai siamo in ballo. La seconda invece appartiene al futuro, alla meta, alla destinazione. Da sempre l’uomo ha creduto in un proseguimento della vita, un percorso infinito che continua dopo la morte. Da sempre si è rifiutato di credere alla fine. Il pensiero di una continuità ininterrotta è metastorico e attraversa tutto il cammino della razza umana, lo pervade e lo nobilita. Qualcosa arriva da lontano, si concretizza in un corpo e svanisce al momento della morte. La vita non è rappresentabile con un segmento, tuttalpiù con una semiretta. Ha un inizio, ma non una fine. Da dove veniamo, allora? E dove andremo? L’anima è nascosta nel profondo e di lei si parla a fatica. Oggi conta di più il corpo, quel fardello pesante, quell’involucro di carne e umori che è già futuro concime per le piante. Questo pudore nel parlare della parte più vera di noi è sintomatico di una paura intrinseca, quella di indagarsi e di arrivare al fondo del problema. Preferiamo una realtà inficiata dal dubbio, dove ognuno costruisce la propria verità, perché in fondo chi può saperlo, chi conosce come stanno le cose? Molto meglio avvinghiarsi alla misera certezza di quello che appare, molto meglio restare in superficie. In questo modo ci trasformiamo in quanto di peggio potremmo essere. Un corpo misero e senza destino, muscoli, ossa e sangue che diverranno presto un mucchietto di cenere.In questi giorni di memoria ognuno di noi pensa a quelli che non ci sono più. Ci piace chiamarli i “nostri” morti, di loro ricordiamo il bene che hanno fatto nel passaggio terreno. Non sappiamo dove stanno ora, è triste pensarli in una bara, sotto terra, polvere nel vento. Allora tentiamo voli e ipotesi, azzardiamo orizzonti. Alla fine il pensiero è comune a tutti, la meta è sempre la stessa, sia per chi credo in Dio che per chi non ci crede. L’istinto dell’eternità vive radicato in noi, basta solo ascoltarlo. Io penso a mio padre, manca nel mio esserci, ma lo so al sicuro, felice. Lui che ora vive per sempre. Lui che nella gioia piena contempla ciò che io, con modesti tentativi di pensiero, riesco solo a percepire.
Guido Mazzolini
bello…Si eternità deve esistere, altrimenti Nulla ha senso. Anche io vivo da quasi viva questo momento, ricordando tanti che se ne sonk andati presto, alcuni troppo presto…
E non so se vivere più che posso o rinunciare e attendere la vita che verrà….
direi che una cosa non esclude l’altra, anzi la prima prepara la seconda e la rende ancora più vera…grazie per la tua gradita visita, a presto! Elena.
Speriamo… Grazie a te, Elena!! A prestoo
A presto cara.