Guardare più in là, guardare oltre. Difficile evitare le apparenze, percepire cosa si cela dietro gli sguardi delle persone. Meglio sorvolare al limite della prima impressione e accontentarsi dell’occhiata distratta, del passaggio di un parere che nemmeno scalfisce la superficie. Usciamo dalle nostre case e incontriamo altri noi, esistenze che ci raggiungono e colpiscono di striscio. Altre mani, altri sguardi. Marciapiedi di città e stagioni che cambiano colore al cielo. E quante vite come foglie che stormiscono al vento. Potessimo leggere oltre la pelle di chi ci cammina accanto, scopriremmo universi di pensieri, esistenze e storie inconfondibili. Gente che nasce e che muore, un ricambio continuo di mani e di piedi a calpestare la terra.
L’umanità si rinnova in una milonga senza fine e tutti ne facciamo parte, sfrenati danzatori che attendono un domani arreso. Certe esistenze sono tempeste di sfortuna, accadono alle nostre spalle e quando ne veniamo a conoscenza riempiono i pensieri. Sono eventi, disastri, un accanirsi di guai e battaglie senza fine. Persone che combattono a denti stretti, serrando i pugni, pronte a difendere quel poco che gli è stato concesso. Esistenze di seconda mano, vite che marciano su binari arrugginiti e sferragliano malinconie. Poteva andare meglio. Per loro, forse, la gioia è un paese troppo lontano. Oppure la serenità va conquistata senza guardarsi in faccia e non tutti se la meritano. C’è chi s’impegna poco e alla fine guadagna soltanto lacrime e sfortune. Osserviamo queste esistenze ammalate e un po’ ci rincuoriamo. La disgrazia, quando non ci riguarda in prima persona, è pura catarsi. Accade davanti ai nostri occhi, ma è una sciagura che succede ad altri, facile da schivare. Ringraziamo la sorte, alziamo le spalle e tiriamo il fiato. Il nostro giro è stato più fortunato.
Meglio deliziarsi al pensiero di possedere una circoscritta serenità. Abbiamo tutto quello che serve e pure qualcosa in più, affondiamo in paludi di oggetti e desideri che non servono realmente, eppure appartengono alle nostre vite e noi apparteniamo a loro. Nati nella metà fortunata del mondo, soddisfatti di quello che abbiamo, infelici di quello che siamo. Eppure basterebbe uno sguardo più aperto, una mano più calda. Basterebbe riconoscersi e pensare che nell’oceano della vita navighiamo tutti sulla medesima barca. E tutti meritiamo un viaggio, accumunati dalla stessa rotta. Nuvole difformi, ognuna della stessa consistenza. Marinai più o meno capaci, più o meno fortunati, in balia di venti generosi e sospinti dal moto delle stelle.
Guido Mazzolini