Ricostruire, ripartire, rialzarsi da terra. Sì che si può, invece preferisci strisciare, recriminare, condannare, progettare strategie per uscirne illeso, per restare indenne. Perché quando finisce un amore non ci sono vincitori o eroi, ma soltanto vite interrotte, strade dissestate, torri che un giorno toccavano il cielo e ora sono crollate, spesso senza un motivo particolare. Facile lasciarsi andare ai rimorsi, oppure alle accuse, stabilire responsabilità, colpe, cercare nel passato il momento esatto dove tutto si è rotto, l’istante che ha decretato la fine. Sono storie interrotte bruscamente, ma spesso lasciate morire, soffocate dalla mancanza di ossigeno, come la fiamma messa sotto il bicchiere dell’abitudine. Facile arrendersi, alzare le mani, migrare verso climi più miti come fanno gli uccelli, volare dove il cibo abbonda e tutto sembra più semplice. Più difficile restare sul campo di battaglia, scavare fosse e seppellire cadaveri, in nome di quello che era e che oggi sembra non esserci più. Eppure basterebbe fare a meno dell’orgoglio, toglierci dagli occhi quell’istinto di prevaricare che ci porta a credere di avere sempre ragione. E ricominciare da lì, dal bisogno di esserci ancora, dal bisogno di aversi. La fragilità nasconde il seme di una forza grande, in Giappone, quando un vaso prezioso si rompe, rimettono insieme i cocci saldandoli con resina e oro mescolati, e il vaso ritorna integro e più bello di prima. Sì che si può, si che si può ricostruire un amore.
Guido Mazzolini