Archivio per giugno, 2022

Ricostruire, ripartire, rialzarsi da terra. Sì che si può, invece preferisci strisciare, recriminare, condannare, progettare strategie per uscirne illeso, per restare indenne. Perché quando finisce un amore non ci sono vincitori o eroi, ma soltanto vite interrotte, strade dissestate, torri che un giorno toccavano il cielo e ora sono crollate, spesso senza un motivo particolare. Facile lasciarsi andare ai rimorsi, oppure alle accuse, stabilire responsabilità, colpe, cercare nel passato il momento esatto dove tutto si è rotto, l’istante che ha decretato la fine. Sono storie interrotte bruscamente, ma spesso lasciate morire, soffocate dalla mancanza di ossigeno, come la fiamma messa sotto il bicchiere dell’abitudine. Facile arrendersi, alzare le mani, migrare verso climi più miti come fanno gli uccelli, volare dove il cibo abbonda e tutto sembra più semplice. Più difficile restare sul campo di battaglia, scavare fosse e seppellire cadaveri, in nome di quello che era e che oggi sembra non esserci più. Eppure basterebbe fare a meno dell’orgoglio, toglierci dagli occhi quell’istinto di prevaricare che ci porta a credere di avere sempre ragione. E ricominciare da lì, dal bisogno di esserci ancora, dal bisogno di aversi. La fragilità nasconde il seme di una forza grande, in Giappone, quando un vaso prezioso si rompe, rimettono insieme i cocci saldandoli con resina e oro mescolati, e il vaso ritorna integro e più bello di prima. Sì che si può, si che si può ricostruire un amore.

Guido Mazzolini

I neonati li osservano curiosi, tendono le mani per afferrarli e quando ci riescono li portano alla bocca. Piedi, appendici sconosciute, deliziose. Piante allungate, collo, tallone, la magia dei mignoli. Le nostre radici.
Gelidi nelle notti invernali, bollenti sulla sabbia di una spiaggia estiva. Piedi che sostengono il corpo, ultima frontiera della nostra pelle, bocche assetate che per ultime ricevono il sangue pompato dal cuore. Piedi ancorati al suolo, pronti a portarci nel mondo, rapidi e senza conoscere il pudore, curiosi di terre nuove da esplorare. Piedi che in coppia cercano la terra, il contatto con il suolo, così lontani dalle nuvole, distanti da quel cielo che noi viaggiatori di miraggi intuiamo come un remoto traguardo.
Piedi piccoli di bimbo che tirano un calcio a un pallone, oppure vissuti come vecchie radici, al cospetto di un presente che spaventa, pronti a camminare nel fuoco e a percorrere le ceneri dell’esistenza. Piedi che battono il pavimento, a tempo con la melodia di una canzone mandata a memoria, stretti su strade larghe, timorosi come un nemico nell’ombra o un cuore che percepisce ogni briciola di mondo. Piedi nomadi, navigatori di deserti e carovane, sempre in basso, pronti a scalciare come chi rimpiange il movimento e ancora cerca una destinazione parallela alla terra. Capaci di superare vallate e montagne, morbidi, bianchi come falene, oppure scuri di pelle e ossa, ruvidi e callosi per il troppo camminare.
Vissuti dal tempo, attraversati dal passato, piedi disposti a schiacciare un uomo per vantaggi meschini, piedi da lavare e baciare il giovedì santo. Piedi da solleticare, da camminatore o danzatrice. In tutti i casi piedi che per ultimi si addormenteranno alla vita rimpiangendo il tempo andato, l’ultimo brivido, l’ultima scossa di esistenza prima di lasciare questa terra.

Guido Mazzolini

In un clamoroso referendum, il 2 giugno del 1946, gli italiani scelsero la Repubblica affossando l’obsoleta Monarchia. Da quel giorno lontano, il percorso democratico della nostra Italia è stato difficile e pieno di insidie. Governi repubblicani di vari colori, teste pensanti da mettere in accordo, terrificanti compromessi storici e interessi personali, privati vantaggi e surreali alleanze. Siamo transitati allegramente dalla prima Repubblica alla seconda, abbiamo salutato i fasti della terza e della quarta. Repubbliche da numerare come classi di una scuola elementare, da misurare come taglie di reggiseno. Lontani i tempi della moderatezza ruffiana della Prima Repubblica, i tempi di Fanfani, di Craxi, del serafico Andreotti. Lontani pure i fasti della Seconda, che affossò democristiani e socialisti, i più anzianotti ricorderanno gli scandali e le tangenti, le toghe e gli imputati, i processi sommari e le condanne ad personam.
Repubbliche da fast food, da attricette e papponi, giullari e nani, storie che ben conosciamo e che si ripetono in ogni epoca. Dal “berlusconismo” raffinato e gigione, attraverso il “renzismo” egocentrico e circense, si è passati al “salvinismo” più ruspante e pratico, poi i pentastellati brevettati da un comico, i “Giuseppi” con e senza pochette e una sinistra sempre meno sinistra, fino al “draghismo” odierno e al “governo dei migliori” che fa già ridere così. E il popolo, che dovrebbe essere il vero proprietario della famosa “Res publica”, resta a guardare sperando in nuove pirotecniche sorprese.
Italia, serva, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello, come scrisse mirabilmente il Sommo Alighieri. Italia, patria di arte e cultura, stivale di un’Europa che troppo chiede e poco dà.
Mi auguro che i valori calpestati dai governi precedenti non vengano ulteriormente messi sotto i piedi, continuando a sventolare il feticcio del diritto individuale a scapito delle verità fondamentali. Mi auguro un Paese migliore, di tutti e per tutti, libero e sovrano, che metta l’uomo al centro e ne riconosca l’infinita dignità.
A tutti noi, buona repubblica.

Guido Mazzolini