Mani che cercano, afferrano, stringono. Capaci di colpire o accarezzare. Mani da sarto o carpentiere, sottili da violinista, forti da fornaio. Mani attorno al collo per circuire la vita, mani da pugno, accusa e indice puntato al cuore, bocche che pretendono un possesso, un desiderio, una risposta. Ci arroghiamo il diritto di essere padroni di qualcosa e non è facile cancellare l’equivoco in questo continuo tentativo di contatto, in questo universo di incontri possibili. Poco alla volta, un giorno dopo l’altro, coltiviamo l’illusione che il mondo ci appartenga. E ci convince ogni giorno che arriva, ogni regalo ricevuto dalla vita. Il presente concede spesso l’illusione di esserci per sempre. Siamo campi aridi in attesa della pioggia e quando questa arriva, quando le prime gocce spengono la sete della terra, ecco che cominciamo a diventare predatori. Tratteniamo, non ci accontentiamo del dono, vorremmo possederlo, vorremmo che diventi parte di noi stessi.
L’amore è un fiume che attraversa il mondo e muove l’universo. Scorre da chi ama e attraversa chi è amato. E non si ferma, non si può contenere. Mettere un limite all’amore significa mutarne l’essenza, trasformarlo in un sentimento misero e a misura di uomo, una gratificazione posticcia simile all’egoismo. Tratteniamo ciò che temiamo di perdere e trasformiamo l’amore in paura, dimenticando che ogni cosa, ogni sensazione, verrà risposte con cura in uno zaino che un giorno dovremo abbandonare. Il sudario non ha tasche e in questo detto antico, tipico di qualche vecchio saggio, è racchiusa una verità assoluta. Lasceremo tutto qui, siamo arrivati nudi e ce ne andremo allo stesso modo. L’eternità non ha bisogno di altro, attende la parte più autentica di noi, niente di più. Un mistero che non serve cercare di spiegare o di giustificare. Un mistero che va accolto, respirato, ingoiato, vissuto. Nel silenzio, a cuore e mani aperte.
Guido Mazzolini