A 24 anni dalla scomparsa, una breve analisi dedicata a un poeta inimitabile.

Non si può parlare di canzone italiana senza citare Fabrizio De André. Sarebbe un errore, un’omissione colpevole che priverebbe il cantautorato di uno dei suoi maggiori capisaldi e di una colonna che sostenne la poetica di quella “canzone d’autore” che si sviluppò dal 1970 fino alla fine del secolo, e che vide in De André uno dei maggiori maestri. Con il termine “canzone d’autore” si definisce una forma d’arte che invoca l’esistenza di un “autore”, in assoluto inteso come creatore. La canzone d’autore non considera il testo un semplice fenomeno di consumo, ma un canale privilegiato di comunicazione in grado di veicolare messaggi. Dalle sue origini politiche al passaggio a fenomeno di mercato, negli anni ’80 la canzone d’autore abbandonò i temi di rilievo sociale per occuparsi degli aspetti più intimi dell’uomo e contemporaneamente si arricchì di forme e risorse musicali. Dalla politica all’anima, è questo il percorso implodente della canzone d’autore, e anche De André seguì questa direzione “ostinata e contraria”. Le sue radici sono molteplici, da quella scuola straniera che passa da Bob Dylan e Leonard Cohen, approdando poi agli stilemi francesi degli “chansonnier” (Georges Brassens, ma non solo). Radici che hanno sostenuto la lunga carriera di De André, troppo presto interrotta da una malattia che ha privato il mondo della sua voce suggestiva. Come cantautore è stato il primo a sporcare le atmosfere gioiose e rosa della “canzonetta” italiana, scrivendo ballate intrise di realismo e pessimismo, pregne di emarginazione e derelitti, di quelle anime perse e salvate nelle quali De André si è sempre riconosciuto. La sua poetica è ispirata alle ballate medievali, spazia dall’”Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Master ai Vangeli apocrifi, da Baudelaire alla tradizione sarda e alla filmografia di Fellini. Argomenti che hanno seguito in parallelo un’evoluzione mai piegata alle facili mode del momento e ai compromessi. Il linguaggio di De André è quello di un poeta fuori dal coro, una voce malinconica e sincera che insegue la forza splendente e dissacrante dell’ironia e attraverso di essa frantuma ogni convenzione. De André detesta i benpensanti, i farisei, gli ipocriti e i cialtroni, figure metastoriche che attraversano ogni tempo. Il suo è un messaggio luminoso di riscatto, in nome di quella libertà di pensiero che indossa nelle canzoni, come un vestito ormai diventato fuori moda. Difficile spiegare tutto questo alle generazioni di oggi, troppo presto date in pasto a una musica che è soprattutto mercato, glitter, trap e paillettes. Meglio allora lasciar parlare la musica di Fabrizio, la sua voce vellutata e inimitabile. Ascoltatelo, in fondo non serve altro.

Guido Mazzolini

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commenti
  1. wwayne ha detto:

    Splendido post, che trabocca di autentica passione per la musica e per un personaggio unico al quale hai reso pienamente giustizia. Sono sempre più orgoglioso di essere da tempo un tuo follower.

  2. Elena Delle Selve ha detto:

    Bellezza e verità in queste parole. Immense. ❤

  3. Nemesys ha detto:

    Complimenti per la bellezza di questo articolo. De André è stato una gran perdita 🌷🙏🏻

  4. ©𝓘𝓶𝓶𝓮𝓻𝓼𝓪 𝓯𝓻𝓪 𝓵𝓮 𝓹𝓪𝓰𝓲𝓷𝓮 ha detto:

    Complimenti per il ricordo🌹

  5. Leonardo ha detto:

    La buona Novella è il mio album preferito, un capolavoro!

  6. The Butcher ha detto:

    Che bellissimo articolo su De André. Oltre a tutta la passione vedo anche un lavoro davvero accurato e questo mi fa piacere, visto che amo la sua voce è molte delle sue opere. Complimenti!

  7. Il Mondo Positivo ha detto:

    Siamo tutti e due appassionati di Fabrizio De André; ne stavamo discutendo prima nella ormai consueta telefonata del sabato: “come andiamo avanti la prossima settimana? Nuove storie del Mondo Positivo? Pubblicare articoli riguardanti il reale?” E intanto stavamo ascoltando un brano del Faber. Andrea si è perso, si è perso, e non sa tornare. Andrea aveva un amore, un amore, riccioli neri… Avanti con la canzone e alla fine abbiamo PIANTO come ragazzini anche se, la somma delle nostre reciproche età, è 90.
    Fabrizio De André è stato un canale di comunicazione tra noi e il mondo, con un’apertura mentale enorme, per l’epoca. “Andrea” racconta di un amore omosessuale nato in contesto militare, Princesa di una donna transgender, la canzone di Marinella è la dedica a una povera ragazza uccisa nell’ambiente della prostituzione… Ha restituito dolcezza e dignità alla povera Maria, dimenticata dal mondo.
    Per non parlare di Bocca di rosa, o come descrive l’alluvione in “dolce nera”.
    Last but not least, “la guerra di Piero” forse la canzone pacifista per eccellenza. E parlandone, inevitabilmente ci è venuto da pensare a un altro Fabrizio cantante che amiamo. Niente di paragonabile col nostro Faber, e i suoi testi apparentemente duri ma recitati con quella sua voce calda e rassicurante. Abbiamo condiviso “la guerra di Piero” pacifista confrontata con “Pensa” di Fabrizio Moro, canzone contro il crimine organizzato. Quanto Fabrizio Moro è più utopico rispetto a Faber!
    “Pensa, prima di sparare pensa, prima di dire, di giudicare pensa, che puoi decidere tu…”
    De André invece racconta del protagonista che vede il militare avversario e decide di NON sparargli. Pensa, appunto, al fatto che sta togliendo la vita a un’altra persona. Invece l’antagonista ha paura vedendo l’avversario e si difende sparando. Descrive in pieno quello che è, realisticamente, il contesto di un conflitto armato pur lasciando un messaggio pacifista perché alla fine Piero ha vinto comunque, perché si ricorda il suo gesto.
    Faber è Faber, niente da fare! Di come lui non ne abbiamo più.
    [Elettrona e Gifter]

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