Penombra, odore di migliaia di corpi prima dei nostri, eppure dopo pochi istanti ogni cosa profumava d’estate. Il buio nascondeva la paura delle tue imperfezioni, segni di un tempo trascorso, per me piccoli particolari di noi, tessere meravigliose di tutto ciò che sei. Amarsi a luci soffuse acuisce i sensi, fino a non capire più quale pelle è tua, quali mani le mie. Uno sull’altra, lo stesso calore dei cuccioli nel nido. Respiri all’unisono, io e te una strana creatura con due teste, quattro braccia, venti dita e due cuori. L’anima soltanto una, mischiata, frullata, gettata ovunque in ogni angolo di quel motel che illuminato da noi diventa un paradiso terrestre. Io e te. Eva e Adamo, cacciati dal cielo e precipitati in uno squallido albergo a ore. Luminose stelle cadenti, foglie nel vento, fiocchi di neve, e quante immagini che mi riportano a qualcosa che precipita, che mi riportano a noi, che mi riportano a te.
Poi luce, si apre la porta e occhi strizzati dal sole, soldi in mano a un ossequioso dipendente, complice prezzolato della nostra gioia. Un viaggio breve in automobile e un tavolo di pizzeria dozzinale, tovaglia a quadri e puzza di fritto. Due tipi sospetti e scuri mangiano al tavolo vicino, ti guardo, mi guardi e ridiamo. Le nostre mani giocano, la pelle non è ancora contenta e non lo sarà mai. Il desiderio di toccarsi è forte, nonostante abbiamo già avuto tutto di noi, nonostante ci siamo appena amati come due dei dell’Olimpo, come la somma di tutti gli amori illegali del mondo. Gli occhi sorridono, le dita intrecciate. Mangiamo affamati, parole soltanto nostre, sciocchezze irrilevanti per chiunque, ma così preziose per noi.
Poi la corsa al casello dell’autostrada e io silenzioso, osservo le mani sul volante, le mie nocche diventare più chiare e tu che fai finta di niente. Mi saluti con un bacio e ritorni nel tuo universo, quel mondo a me negato e irraggiungibile. Ti guardo dallo specchietto retrovisore, sei un punto sempre più piccolo che si allontana.
La vita ci illude, crediamo di avere tempo e che il futuro possa regalarci nuove possibilità. Ogni istante che passa sottolinea questo pensiero e lo sostiene. In noi manca la coscienza del limite, accantoniamo l’idea di un adesso circoscritto in un confine, preferiamo l’illusione di avere sempre un giorno a disposizione per sistemare la nostra felicità, pronti a colmare lacune e omissioni colpevoli. La paura di agire confina con la noia e suggerisce di fare domani ciò che potresti fare oggi. Rimandare è un’arte semplice e disperata, uno stratagemma che ci rende tutti uguali e pronti ad assolverci. Rei nel presente, ma sognatori di un futuro che profuma di redenzione e successo.
Ma il tempo ha una fine, te ne accorgi mentre passano gli anni e arrivano gli imprevisti della vita, e la sbornia della giovinezza è già lontana, e si ammucchiano i giorni. Ho preteso troppo, lo so, ma sono convinto di avere chiesto il giusto, quello che pensavo di meritare, quello che tu non hai considerato possibile. I desideri condivisi vanno realizzati, non puoi metterti in viaggio senza una destinazione, ti godi il panorama e il dondolio del vagone, ma resti insoddisfatto perché la meta è sempre più lontana e dentro di te sai che da quel treno non scenderai più. Da casello a casello, pensieri sciolti e un’ora di strada per arrivare a casa. Il mio ultimo viaggio, il mio ultimo abbraccio.
Guido Mazzolini
Ancora una volta mi lasci senza fiato, coinvolta in prima persona nel tuo racconto. Anche io ho vissuto quelle sensazioni e ho pianto l’amarezza di certe lacrime. Spero che chi lo leggerà possa avere il mio stesso brivido.
Elena